venerdì 22 luglio 2016

RACCONTO: LETTO CALDO


Lenzuola umide. Caldo tropicale.
Corpi sudati  distesi sul materasso.
La guardo con la testa appoggiata di lato sul cuscino.
Lei è nuda, come del resto lo sono anch’io.
I capelli arruffati hanno perso la piega e dolcemente ricoprono le sue spalle dorate.
La pelle è lucida, preziosa. Gli occhi chiusi, per farsi ammirare.
Le passo il dorso della mano destra sulla guancia appannata.
Lentamente le palpebre si schiudono, liberando due gemme preziose.
Sbatte le ciglia come se veramente l’avessi svegliata. Mi guarda e un brivido mi attraversa la schiena.
Solleva la testa con il braccio destro e non dice una parola. Il silenzio che ci avvolge mi ronza nelle orecchie.
-Perché mi guardi? – mi chiede sapendo già la risposta.
-Perché no? –tento inutilmente di sorprenderla.
La sicurezza nei suoi occhi mi mette in crisi. Mi mette in una situazione a me nuova.
Lei sembra sempre a suo agio, soprattutto quando non lo è.
Si gira a pancia in giù. Liberando le curve perfette del suo corpo scolpito.
Non ho mai visto una donna del genere.
-Sei bellissima – non riuscendo a dire niente di meno banale.
Lei mi si avvicina, appoggia le sue labbra al mio orecchio e ci sussurra dentro:
-Dimmi qualcosa che non so.
Bellezza e consapevolezza le armi più potenti nella nostra società.
Per lei niente e nessuno è irraggiungibile. Nessun ostacolo troppo grande.
Tra i tanti ha scelto me. Perché? Ancora me lo chiedo.
La domanda mi assilla, consumandomi nel profondo.
Non ho soldi, non ho potere, non ho niente.
Non sono particolarmente bello, né ho talenti fuori dall’ordinario.
Sono un middle man. Anzi sono la quinta essenza dell’uomo medio.
Se alle Olimpiadi dovesse gareggiare la squadra dei middle men, io sarei senza ombra di dubbio il porta bandiera.
Forse è uno scherzo. Forse ha sbagliato persona. Forse è tutto un equivoco.
Non so come sia possibile, ma fortunatamente il mio pessimismo mi rende immune alle cattive sorprese, al costo di non sapermi godere quelle buone.
La guardo negli occhi cercando risposte. Niente.
Lei mi sorride, sembra felice. Anzi annoiata.
Allunga il braccio sinistro e afferra sul comodino un pacchetto di Davidoff.
Se ne infila una tra le labbra e la accende.
Proprio in questo momento mi ricordo che siamo nella sua camera di albergo.
Non me lo ricordavo. Ieri sera ho esagerato con il bere.
Espira grandi boccate di fumo.
Il fumo che si mischia all’umidità dell’aria, dovuta al caldo di un agosto da record, crea una ambiente quasi esotico.
Le pareti si allontanano e i contorni sbiadiscono.
Torno ad ammirare il suo corpo adagiato con sicurezza disarmante.
Sono felice. Conosco questa donna da poche ore, e a dire il vero in questo momento mi sfugge il suo nome, ma non mi importa.
Per la prima volta nella mia vita mi sento libero.
Senza costrizioni. Senza regole. Senza impegni.
Nessuno mi dice cosa devo fare. Nessuno programma la mia vita.
Siamo io e lei in un letto e niente, tranne il fumo, intorno a noi.
La sigaretta è a metà. La cenere cade sulle lenzuola di seta.
Cerco di ricordare cosa ci siamo detti la sera prima.
Come ho fatto ha convincerla a farmi entrare nella sua camera?
Niente. I ricordi sono confusi. Pochi flash non ben ordinati.
Strano che il gin mi abbia fatti questo effetto. Non sono un novellino in quel campo.
La testa mi scoppia.
Questo mi ricorda quando da giovane mi svegliavo dopo una serata con gli amici.
L’alcol, la musica e qualche droga. Non che ne abbia fatto grande uso.
Saranno anni che non mi faccio una canna.
La sigaretta è finita. Si piega verso il comodino, dove spegne il mozzicone nel portacenere di cristallo.
Si gira verso di me e continua a sorridere. Ha un sorriso contagioso.
Credo di non essere mai stato così felice in vita mia.
-Sai a me piace sempre fumarmi una sigaretta prima di farlo- mi dice.
-Pensavo lo avessimo fatto stanotte – rispondo perplesso.
Sorride: -Infatti non mi riferisco al sesso.

Alza il suo cuscino e l’ultima cosa che vedo è la canna di una pistola.

Cantoni Marco

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