Un sapore metallico in bocca. Ferroso, calcareo, forse
ruggine.
La salivazione inesistente si mischia alla paura di parlare.
Secca è la lingua incastrata in bocca. Ruvida e pigra nel
momento del bisogno.
I pensieri si accavallano, sovrapposti l’un l’altro come
tasti di una macchina da scrivere.
Confusi nella testa si trasmettono nervosi
nella bocca.
Niente, non esce nulla.
Deglutendo platealmente inghiottisco saliva sperando
porti via con sé la paura.
Utopia.
Inspiro nasalmente più ossigeno che posso, sperando che
nasconda tra le molecole elettroni di coraggio.
Sbatto le palpebre, la retina non mette bene a fuoco.
Di fronte a me figure sbiadite. Negativi di una realtà inverosimile.
Passano minuti in un probabile universo parallelo, solo
pochi secondi in quello che convenzionalmente accettiamo come reale.
Il palco sul quale sto copiosamente sudando non è più grande
di qualche metro.
Il premio tra le mie mani troppo importante per essere
spiegato.
In platea scorgo personalità illustri, politici e
soprattutto colleghi.
È ancora tempo di ansia.
Con unghie troppo lunghe mi provoco micro-ferite sul polpastrello
del pollice destro.
Sento poche gocce di sangue fuoriuscire dalla piccola
ferita, con quello ho una certa familiarità.
Mi passo il pollice sulle labbra, il sapore del mio sangue
migliora quello della saliva.
Appoggio la statuetta sul leggio.
Il rumore di fondo mi avvolge claustrofobicamente.
Non
riesco neanche a pensare. Forse soltanto a pensare di non pensare. Forse
neppure a quello.
Nell’aria respiro invidia e rancore. Solitamente me ne cibo,
ma adesso ho lo stomaco chiuso.
Sorrisi finti e strette di mano cariche di odio hanno
preceduto quei tre gradini alienanti che dividono loro da me.
Non credo sia vero che fiutano la paura come dicono.
In
questo momento sono terrorizzato, ma nessuno se né accorto.
Alzo lo sguardo simulando convinzione. Nonostante le pessime
doti attoriali il tentativo funziona. La convinzione altrui me ne regala un
briciolo anche a me. Faccio tesoro di questo, massimizzo quel briciolo e mi
cullo di ottimismo.
Mi passano negli occhi apparizioni di persone che non ci
sono più.
Persone che conosco. Persone che mi perseguitano. Persone.
Ho fatto loro del male. Per quanto mi riguarda niente di
personale, a quanto pare non per loro.
Fingo con me stesso che non siano un problema, spesso mi
convinco.
Pronto alla battaglia mi schiarisco la voce. Ricercando
nella mia memoria meccanica i momenti passati giorni prima a immaginare di
pronunciare quelle parole.
Parole studiate a tavolino, calibrate per sembrare
spontanee. Concetti semplici e rassicuranti. Pensieri di massa carichi di finta
umiltà.
Un discorso figlio del sistema, che non mira a metterlo in
crisi ma soltanto a rafforzarlo, a sfruttarlo per beneficiarne.
Ovviamente il panico non aiuta, ma le parole sono scolpite
nella mia mente, devo soltanto tirarle fuori nell’ordine giusto.
È finito il tempo dei dubbi. E’ finito il tempo della paura.
Sono pronto a godermi la gloria, cercando inutilmente di dimenticare quanto è costata.
Sono pronto a godermi la gloria, cercando inutilmente di dimenticare quanto è costata.
Cantoni Marco