sabato 25 giugno 2016

INCIPIT ?


Un sapore metallico in bocca. Ferroso, calcareo, forse ruggine.
La salivazione inesistente si mischia alla paura di parlare.
Secca è la lingua incastrata in bocca. Ruvida e pigra nel momento del bisogno.
I pensieri si accavallano, sovrapposti l’un l’altro come tasti di una macchina da scrivere. 
Confusi nella testa si trasmettono nervosi nella bocca.
Niente, non esce nulla.
Deglutendo platealmente inghiottisco saliva sperando porti via con sé la paura.
Utopia.
Inspiro nasalmente più ossigeno che posso, sperando che nasconda tra le molecole elettroni di coraggio.
Sbatto le palpebre, la retina non mette bene a fuoco. Di fronte a me figure sbiadite. Negativi di una realtà inverosimile.
Passano minuti in un probabile universo parallelo, solo pochi secondi in quello che convenzionalmente accettiamo come reale.
Il palco sul quale sto copiosamente sudando non è più grande di qualche metro.
Il premio tra le mie mani troppo importante per essere spiegato.
In platea scorgo personalità illustri, politici e soprattutto colleghi.
È ancora tempo di ansia.
Con unghie troppo lunghe mi provoco micro-ferite sul polpastrello del pollice destro.
Sento poche gocce di sangue fuoriuscire dalla piccola ferita, con quello ho una certa familiarità.
Mi passo il pollice sulle labbra, il sapore del mio sangue migliora quello della saliva.
Appoggio la statuetta sul leggio.
Il rumore di fondo mi avvolge claustrofobicamente. 
Non riesco neanche a pensare. Forse soltanto a pensare di non pensare. Forse neppure a quello.
Nell’aria respiro invidia e rancore. Solitamente me ne cibo, ma adesso ho lo stomaco chiuso.
Sorrisi finti e strette di mano cariche di odio hanno preceduto quei tre gradini alienanti che dividono loro da me.
Non credo sia vero che fiutano la paura come dicono. 
In questo momento sono terrorizzato, ma nessuno se né accorto.
Alzo lo sguardo simulando convinzione. Nonostante le pessime doti attoriali il tentativo funziona. La convinzione altrui me ne regala un briciolo anche a me. Faccio tesoro di questo, massimizzo quel briciolo e mi cullo di ottimismo.
Mi passano negli occhi apparizioni di persone che non ci sono più. 
Persone che conosco. Persone che mi perseguitano. Persone.
Ho fatto loro del male. Per quanto mi riguarda niente di personale, a quanto pare non per loro.
Fingo con me stesso che non siano un problema, spesso mi convinco.
Pronto alla battaglia mi schiarisco la voce. Ricercando nella mia memoria meccanica i momenti passati giorni prima a immaginare di pronunciare quelle parole.
Parole studiate a tavolino, calibrate per sembrare spontanee. Concetti semplici e rassicuranti. Pensieri di massa carichi di finta umiltà.
Un discorso figlio del sistema, che non mira a metterlo in crisi ma soltanto a rafforzarlo, a sfruttarlo per beneficiarne.
Ovviamente il panico non aiuta, ma le parole sono scolpite nella mia mente, devo soltanto tirarle fuori nell’ordine giusto.
È finito il tempo dei dubbi. E’ finito il tempo della paura.
Sono pronto a godermi la gloria, cercando inutilmente di dimenticare quanto è costata.


Cantoni Marco